di Elena Ciurli
Sono nata in Albania, ho 16 anni e sono la figlia più grande della famiglia. Viviamo su queste montagne maledette e mi piego sulla terra dei campi.
Sono una donna, un otre pronto a raccogliere il seme dell’uomo e a onorarlo. Non posso esprimere le mie opinioni, non posso fumare, bere grappa o scegliere il mio amante. L’uomo però deve essere gentile con me, non si può neanche sparare in mia presenza.
Ma io non voglio vivere così; preferirei gettarmi in un burrone. Nascere donna qui è come morire due volte.
Mia sorella ha solo 5 anni quando mio padre muore e serve qualcuno che prenda il comando. Per me è quasi naturale diventare una Burnessha, una vergine giurata, un uomo per scelta. Farmi tagliare le trecce e vestirmi come un maschio, schiacciare il seno con strette bende, non piangere più davanti agli altri; fare voto di castità per la vita. Divento uomo per essere libera. Posso mantenere alto l’onore della famiglia.
Iniziamo dalle radici: il termine Burrnesh deriva da burr, che significa uomo e nesh, declinazione che indica un soggetto femminile; né donna, né uomo, un’identità a cavallo tra due dimensioni vitali. L’esistenza della burrnesh porta in sé tutta una serie di esperienze emotive profonde e destabilizzanti.
Per almeno 500 anni, le Burrneshe sono state le figlie del Kanun, un antico codice di comportamento albanese, tramandato per lo più oralmente, in cui si ritrovano le prime tracce di un’usanza che, oggi, sopravvive esclusivamente grazie alle anziane Burrnesha ancora in vita. Ne sono rimaste poche: come Pashe Keqi, 81 anni, che racconta:
“Essere una donna mi ha permesso di essere un uomo migliore. Se gli altri uomini trattavano male una donna, potevo dire loro di fermarsi.”
Perché nasce una Burrnesh?
Nel libro “Women who become men: Albanian sworn virgins”, l’antropologa Antonia Joung scrive che all’origine della scelta esistevano almeno tre fattori di natura diversa.
Il primo era legato a una necessità di tipo pratico. Se in una famiglia di sole figlie femmine il padre fosse venuto a mancare, una di loro doveva assolutamente assumerne il ruolo. Per diventare capofamiglia, però, doveva rinnegare la propria natura di donna, e iniziare ad acquisirne una maschile.
La seconda motivazione era spesso per sottrarsi a un matrimonio combinato. Se una ragazza non voleva trascorrere il resto della propria vita accanto a un uomo che non amava, costretta a essere la sua marionetta in carne e ossa, o semplicemente se desiderava sentirsi libera dal giogo maschile, si piegava ai principi del Kanun e accettava il voto di castità, imparando a vivere da uomo.
Il terzo motivo, invece, è più recente. Quando una ragazza non voleva essere la sposa di nessuno, oppure non si sentiva identificata nel genere femminile, poteva scegliere di diventare burrnesh.

Il rito di passaggio
Diventare Burrnesh era fare voto di castità: non si tornava indietro, si restava fedeli fino alla morte a questo giuramento.
Tutto diventava reale e riconoscibile con un rito: alla futura Burrnesh venivano tagliati i capelli, doveva indossare abiti maschili e imbracciare un fucile, e giurare fedeltà eterna di fronte ai dodici capi dei clan di zona. E poi festeggiavano tutti insieme, uniti dal sacro fuoco della grappa. La Burrnesh non poteva definirsi tale senza una prima e delirante sbronza.
La vita di quella ragazza non sarebbe stata mai più la stessa.
La “vergine giurata” otteneva finalmente un’autorità a livello sociale e potere decisionale sull’universo familiare, ma non il diritto di voto.
Sottomettersi alla libertà
Quando ho letto per la prima volta di queste vite trasformate mi sono chiesta se in realtà fossero delle figure mistiche, o solo delle disperate.
Oggi, divenire Burrnesh è un fenomeno raro legato perlopiù a necessità individuali.
Serve una grande dose di coraggio per questa scelta estrema, e comunque socialmente accettata nel loro mondo, che non ha necessariamente un legame con l’orientamento sessuale.
Hanno rinunciato a essere donne per diventare uomini (forse) migliori: c’è qualcosa di eroico e straniante in questo, come la vista di tutte le loro trecce tagliate, giù per terra, su quelle Montagne Maledette.
Da vedere
“Vergine giurata”, Regia di Laura Bispuri, 2015. Girato tra l’Albania e Bolzano, il film è liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Elvira Dones. Il film ha ottenuto 1 candidatura a David di Donatello.
La storia di Lali/Diana
Da leggere
Paola Favoino, A je burrnesh!, Balter books, 2019. La scrittrice Paola Favoino raccoglie le storie delle ultime burrneshe rimaste in vita durante un viaggio in Albania durato 7 anni.
Bellissimo film toccante .
"Mi piace""Mi piace"