La sigaretta del mattino

di Chiara Lecito

Si alza in silenzio, si mangia due biscotti e si beve una tazza di caffè amaro e dato che, sebbene sia ancora marzo la giornata si preannuncia decisamente primaverile, decide di fumarsi la sua sigaretta del mattino adesso, fuori, sul balcone, e allora alza le serrande.

«Tutto a posto?»

Lei sorride.

«Sì, sì, continua a dormire»

Dopo quattro anni che stanno insieme, lui ancora non sa che lei fuma. Che poi in realtà non è un fumare vero e proprio, visto che si limita a quella sigaretta del mattino, e non è un vizio, e non è neanche una dipendenza, ma un rito vero e proprio, un culto in cui le divinità adorate sono la calma e la respirazione, e lei sola è sacerdotessa e adorante.

Prima della quarantena lei si fumava la sigaretta appena arrivata in studio, all’inizio della giornata lavorativa: una preghiera di ringraziamento, un minuto di raccoglimento, una preparazione alla pazienza alla quale avrebbe dovuto ricorrere durante la giornata. Adesso, invece, si tratta di un attimo rubato alla vita di coppia, alla convivenza gioiosa e piacevole anche se forzata; e lei ci ha pensato a condividere questa cosa con lui, ma alla fine ha deciso di no.

Prima di iniziare a fumare, ogni mattina leggeva e meditava per circa venti minuti un brano del Vangelo, o della Bibbia, o del Sutra del Loto, o del Libro dei Mutamenti, o del Corano, o della Bhagavadgītā, o degli esercizi spirituali di San Giovanni della Croce, o delle lezioni spirituali di Mishima; poi era passata allo Yoga, all’allenamento funzionale, al Saluto al Sole, alla meditazione camminata; ma poi aveva letto che molta gente fumava le sigarette perché fumando si respirava come si dovrebbe respirare a cose normali, e allora aveva provato.

Non ha mai fatto uso di stupefacenti. O, meglio, lo ha fatto una volta e non ci ha trovato niente di che: nel suo culto non cercava una soluzione mistica, ma solo una presenza più salda nel mondo, qualunque cosa questa affermazione voglia dire. Che poi lei è bravissima a nascondere questo suo afflato spirituale, e a dire il vero non lo nasconde neanche, semplicemente non lo sbandiera e non lo disciplina attraverso congreghe e culti codificati. Il fatto è che la sigaretta, e tutto quello che questa comporta, è ormai parte di lei, ovvero una religione, ovvero un qualcosa che, a leggere il vocabolario etimologico, si cerca e si sceglie e che lega i vari aspetti della vita, dandole senso e al contempo trascendendola.

Prima le sigarette se le rollava da sola, adesso, per praticità, si deve adattare a quelle già pronte, allora la preparazione al culto si sposta su di lei: trucco leggero, leggins neri, maglietta bianca, cardigan di cotone o di lana, capelli perfetti, le sneakers più carine ai piedi; poi studia la posizione, a seconda della luce del sole o del vento che tira; alla fine, accende la sua sigaretta e osserva le volute di fumo.

Direbbe che ha sviluppato una sorta di pensiero magico, se non fosse convinta che ogni pensiero è magico e allora aspira, si concentra, espira; quindi chiude gli occhi, e una boccata di fumo va al balcone della vicina rognosa, un’altra ai ragazzini che strillano davanti casa sua, la terza va alla coppia che, a differenza di lei e lui, proprio non sa stare insieme; quindi sorride, prende coscienza di questa fumata malevola, che non dovrebbe essere così, e pensa che deve ancora farne di strada per padroneggiare la sua magia, allora cerca di rendere questa magia neutra come dovrebbe essere, composta da semplici vibrazioni di consapevolezza.

E alla fine giunge al filtro, e spegne la sigaretta sotto la suola, e butta la cicca nell’indifferenziato, e va in pace a lavarsi i denti.