Pubblicato in: Cercatrici di storie

Una performer d’altri tempi: la Contessa di Castiglione

di Federica Bertagnolli

Ci sono vite che lasciano il segno. Vite straordinarie e trasgressive, vite che il tempo trasfigura in leggenda.

La gente ne parla, intesse racconti sulle gesta di persone eccezionali. Nel bene o nel male, che sia grazie a fonti autorevoli o ai pettegolezzi più beceri, certe vite passano alla storia.

Quella di Virginia Oldoini, la Contessa di Castiglione, rientra appieno nella categoria.

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Pubblicato in: Attualità al femminile, Interviste difettose

Narrazioni digitali: la storia della business writer Luisa Carrada

di Elena Ciurli

Torna non puntuale l’appuntamento con le nostre Interviste Difettose.

La protagonista di questa storia è Luisa Carrada: business writer e alchimista delle parole nel mondo digitale e non solo.

Autrice di libri fondamentali per chi desidera intraprendere il mestiere del copywriter e del web writer, è insegnante, libera professionista e ogni giorno cerca di dare un tono di voce riconoscibile ai brand e alle aziende italiane.

Ci ha regalato talismani preziosi e consigli professionali molto importanti.

Semplifico le scritture complicate, rianimo quelle esauste, ne produco di chiare, vivide e naturali.
E insegno anche come si fa.

Luisa Carrada

Siamo felicissime di accoglierla nel nostro spazio.

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Pubblicato in: Interviste difettose

Once Upon A Tape: quando il mix tra musica e letteratura dà vita a nuove mode

Tornano le nostre Interviste Difettose: anarchiche e non puntuali, com’è nel nostro stile. Questa volta la protagonista è proprio una delle Donne Difettose: Elena Ciurli.

Le sue socie, Silvia e Beatrice, hanno deciso di farle qualche domanda sul suo nuovo progetto creativo: il brand Once Upon A Tape.

Quando il mix tra musica e letteratura dà vita a nuove mode.

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Pubblicato in: Madri snaturate

Una sana forma di cecità – buona festa della mamma (difettosa)

di Alice Scuderi

All’inizio, quando diventi genitore, le difficoltà sono tutte pratiche: imparare a mettere il pannolino, capire perché frigna, seguirlo di continuo per evitare che inghiottisca qualunque cosa, allattarlo, svezzarlo, farlo dormire, e potrei andare avanti per pagine e pagine. Le giornate sono segnate da questa faticosa seppur monotona routine e tu ti ritrovi stanca e felice e il cervello lasciato a prendere ragnatele.

Poi arriva un momento, un’epifania, la consapevolezza di una verità che si affaccia inizialmente come una sensazione vaga, che ti fa pensare di essere un po’ ansioso/paranoica, ma che poi si palesa nella sua straordinaria solidità: stai crescendo un individuo, che non sei tu in miniatura e che non è come avevi progettato. Il momento in cui realizzi che dalla pancia ti è uscito un Alien e non il Piccolo Principe che avevi disegnato sulle pareti della cameretta dipinta di azzurro confetto.

È un momento ben preciso, quando metti insieme vari tasselli e viene fuori il disegno finale del puzzle, e tu ci rimani di merda perché è diverso da quello riportato sul coperchio della confezione. Ma, non avendolo preso su Amazon, il reso non è consentito…

Non è per forza una scoperta negativa, ma almeno nel mio caso, capire di avere di fronte un essere umano che ha sì metà del mio corredo cromosomico, ma la cui individualità in divenire è tanto diversa da ciò che mi aspettavo, mi ha un po’ destabilizzato. Mia figlia ha cinque anni e mezzo, e di lei so tutto e non so niente. So quanto pesava quando è nata, so qual è stata la sua prima parola, conosco il piatto che ama di più, il suo cartone preferito (che cambia costantemente), quali caramelle preferisce, di cosa ha paura, ma sempre più spesso mi ritrovo a chiedermi cosa le passi per la testa. Quando la metto nel mondo, a scuola, alle feste di compleanno, a casa degli amici, al parco, lei diventa quasi un’estranea, un oggetto misterioso che osservo con la dedizione analitica dello scienziato, ma che rimane oscuro, ignoto come un pianeta lontanissimo visto da un telescopio.

E io, devo ammetterlo, non sono bravissima a guardarci dentro. Sarà perché sono miope ed astigmatica, ma la risoluzione, quando si tratta di mia figlia, non è mai abbastanza alta. Soprattutto ora, dopo l’arrivo del fratellino e gli scombussolamenti che ha portato, mi sembra di vederla più sfuocata. Eh già, diventare madre per la seconda volta mi ha fatto un po’ perdere i contorni della mia prima figlia.

Non è un periodo facile, ma non è che non me lo aspettassi.

No, bugia, mi aspettavo un po’ più di serenità. Perché, mi dicevo da sciocca ottimista quale sono: la mia bimba in fondo ha cinque anni, è “grande”, intelligente, sicuramente prenderà bene l’arrivo del fratello…

Ora non immaginate scene drammatiche, non ci sono state regressioni apocalittiche (anche se spesso, quando guarda la tv, ha preso a succhiarsi il dito), è più una lenta ma inarrestabile reazione carsica, il suo comportamento acido che scava la roccia della mia fragilissima pazienza. E così, dopo due anni che posso definire buoni, mi ritrovo a gridare come una pazza, esasperata dai continui dispetti, dalle rispostacce, dai gesti di sberleffo quando la sgridi, da quello sguardo duro come il cemento armato quando provi a parlarle civilmente.

Dopo cinque anni, abbiamo per la prima volta dato degli sculaccioni (oddio, ora so già che chiameranno gli Avengers per farmi esiliare in una galassia lontana, quella delle madri merdose), ottenendo sarcasmo (sì, da una bambina di 5 anni) e un menefreghismo corrosivo come acido muriatico. Infatti mi è tornata la gastrite.

Gli Avengers mentre mi vedono tirare uno sculaccione

E così mi ritrovo nel girone dantesco del senso di colpa, la sensazione micidiale di non fare mai la cosa giusta, di aver sbagliato tutto.

Lei continua a sfidarmi, a sfidarci, e io mi ritrovo tentennate e dubbiosa, piena di frustrazione rabbiosa, che a volte sgorga in un urlo, altre in un pianto silenzioso nel bagno.

È una fase, passerà, mi ripetono tutti, ma una volta usciti da questo tunnel, in quale altra galleria si entrerà?

Passa più tempo con lei, mi dicono altri.  E io ci provo, con tutta me stessa, come un atleta di triathlon che affronta la corsa, dopo un’estenuante gara in bici e di nuoto. Arranco, cerco tempo quando il tempo manca, torno da lavoro e il fratellino mi salta in collo; la sera le leggo storie nel suo lettino per farla addormentare, le mattine che sono in smart la accompagno a scuola con la bici, le faccio trovare sorpresine, organizziamo gite, la sera a tavola parliamo, tv spenta e orecchie aperte per sapere della sua giornata. Ma ci sono giorni in cui sembra inutile… Va bene tutto, ma quanto andrà avanti a portare rancore per ‘sto fratello?

Instagram…

E io che mi immaginavo scene diabetiche di amore fraterno

... la realtà

Il fatto è che le aspettative sono il vero problema, quelle maledette pubblicità del Mulino Bianco e ora i social che ci anestetizzano costantemente con immagini di famiglie perfette, figli perfetti, rapporti perfetti. Irreale. E noi, madri della generazione delle pippe mentali, con il cervello sempre impostato in modalità “dubbio costante”,

non riusciamo a prendere le cose come vengono, perché troppo impegnate ad analizzare chirurgicamente ogni parola, azione, evento dei nostri figli. E così passiamo il tempo a chiederci: Che razza di madre sono? Cosa fa di una madre una buona madre?

Appunto, pippe mentali. Da cui, per la cronaca, io sono drammaticamente affetta. Una malattia che certo non mi passerà a breve, ma parlarne con voi mi fa sicuramente bene.

Devo fare pace con l’idea che mia figlia è un individuo con una sua personalità, che non tutto può andare come me lo ero programmato nella mia testa psicotica di madre, che a volte le cose si sistemano da sole, basta aspettare, l’amore può mascherarsi in tanti modi

Forse non guardo bene. Sempre per via della miopia tendo ad avvicinarmi troppo alle cose e così perdo i margini. Forse allontanandomi un po’, senza mai distogliere lo sguardo, scoprirei mia figlia e il suo meraviglioso, frastagliato, inaspettato contorno.

E alla fine, cos’è l’amore materno se non una sana forma di cecità?

Buona festa della mamma, mamme difettose.

E quando si parla di maternità, non posso non citare il favoloso ( e mia serie preferita) “Il Racconto dell’ancella”
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Pubblicato in: Cercatrici di storie

Julia Margaret Cameron: uno sguardo sognante su mondi fantastici

di Federica Bertagnolli

Desideravo arrestare tutta la bellezza venuta prima di me, e alla fine il mio desiderio è stato soddisfatto”

È stata una donna insolita, focalizzata con entusiasmo sulle proprie passioni a dispetto dei rigidi dettami dell’epoca in cui ha vissuto. È stata una fotografa – la prima a ottenere un posto alla Royal Photographic Academy –, un’artista destinata a rimanere incompresa da molti colleghi, e con il suo esempio di audacia e creatività ha rappresentato una fonte d’ispirazione indispensabile per una pronipote molto speciale, nientemeno che l’autrice britannica Virginia Woolf.

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Pubblicato in: Attualità al femminile, Eppur son donne, Eppur son femmine

Anna Coleman Ladd: la scultrice che restituì un volto ai mutilati della prima guerra mondiale

di Elena Ciurli

Oggi abbiamo una triste familiarità con la chirurgia ricostruttiva del volto: tanti sono stati infatti negli ultimi anni i casi di donne sfigurate dall’acido nel nostro Paese, per cause che qui non è il momento di elencare (in Italia dal 2013 al 2017 i casi sono triplicati, e in Europa va anche peggio*).

I volti mutilati hanno un potere totalmente disturbante: non riesci a distogliere lo sguardo, non ti lasciano scampo.

Ma agli inizi del Novecento, con la prima guerra mondiale a distruggere corpi e anime, la chirurgia era in grado solo di rimettere insieme i pezzi, e cercare di far sopravvivere i soldati mutilati.

Le mutilazioni, le più gravi o compromettenti, non riguardavano gli arti, ma il viso, che restava scoperto.
Una gamba o un braccio di legno erano, oltre che un grave handicap, forse una storia da raccontare ai nipoti, ma un’intera parte del viso mancante era tutt’altro. Era la trasformazione da uomo in freak, mostro, fenomeno da baraccone, bestia. Era la morte sociale: si traduceva in sguardi orribili da parte della gente. Quegli sguardi di morbosa commiserazione, che ammazzano ciò che resta di una psiche già distrutta.

Ed è qui, in questa zona d’ombra, terra di rifiuto della propria immagine deturpata, che Anna Coleman Ladd è entrata a portar luce con la sua arte, e le sue maschere realistiche, che davano una nuova dignità a questi uomini dilaniati dalle bombe e dagli spari.

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Pubblicato in: La romanticona

A lezione con i fantasmi – Laboratorio didattico su Shirley Jackson

di Silvia Ciurli

Da quando lavoro nelle biblioteche delle scuole, ho scoperto che molti ragazzi e ragazze che brulicano le medie sono appassionati di genere horror.

C’è chi cerca quello “che faccia paura paura”, chi quello “con misteri da risolvere”, mentre altri sono semplicemente attratti da tutto ciò che è soprannaturale, fumoso, avvolto da un alone di tamburellante inquietudine. 

Quale migliore occasione, allora, se non fare un laboratorio che assecondi l’inclinazione al mistero delle giovani menti con l’occasione di conoscere vita e opere di Shirley Jackson (una vera e propria donna difettosa ante litteram, anzi, anti bloggeram), autrice che è il risultato perfetto di tutta la combinazione di elementi che le nuove generazioni ricercano in un romanzo.

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Pubblicato in: Interviste difettose

Uso di sostanze e violenza di genere: diamo voce alle Chemical Sisters

di Elena Ciurli

La prima uscita delle nostre Interviste Difettose edizione 2023 è dedicata a un collettivo veramente tosto: siamo felici di ospitare le Chemical Sisters.

Siamo donne, persone trans e di genere non conforme che lottano contro lo stigma, la discriminazione e la criminalizzazione quotidiana presente in ogni ambito delle nostre vite.

Abbiamo deciso di unirci in un collettivo per difendere e rivendicare i diritti troppo spesso negati in quanto donne, persone t. e non-binary e in quanto persone che usano sostanze legali e non. Dichiariamo che la guerra alle droghe è classista, razzista ed etero sessista. Viviamo in un mondo in cui l’uso di sostanze stupefacenti è visto, analizzato e affrontato con uno sguardo e una prospettiva ben definite: quelle del genere maschile. Ma la realtà ci dice qualcos’altro. Un terzo delle persone che usano sostanze nel mondo sono donne e un quinto del numero mondiale stimato di persone che usano per via iniettiva; sono le più soggette ad abuso di farmaci da prescrizione medica, e sono i soggetti con più probabilità di contrarre infezioni virali.

Ci ribelliamo contro la violenza che ogni giorno soffoca i nostri corpi, le nostre scelte e le nostre vite, nelle aule dei tribunali, nel sistema carcerario e nei servizi di cura, nei luoghi di istruzione e di lavoro. 

 

Cosa significa per voi “Fare riduzione del danno”? Come operate sul territorio nazionale?

I principi cardine della riduzione del danno sono anche i nostri: approccio non ideologico, tutela della salute, autodeterminazione e non giudizio sulle persone e sulle scelte. Implementiamo il mutuo supporto, la costruzione di reti, la creazione e quindi l’attraversabilità di spazi safe e la solidarietà dal basso. Puntiamo a  costruire pratiche  politiche intersezionali ed inclusive che assicurino alle donne e alle minoranze di genere, l’empowerment e  l’inclusione nella ricerca clinica e che affrontino il fenomeno dell’uso di sostanze attraverso la prassi definita dalla riduzione del danno. Crediamo che  l’autodeterminazione sia la prerogativa essenziale per  godere al meglio dell’esperienza correlata all’uso di sostanze.

Data la disomogeneità rilevata nei servizi di RDD in Italia, abbiamo ritenuto necessario attraversare luoghi e pratiche, istituzionali e non, con uno sguardo più inclusivo facendo rete con quanti di questi ambienti il più possibile al fine di allargare pratiche e conoscenze alla portata dell* più.

Diviene quindi cruciale sottolineare  le tematiche di genere e la tutela dei diritti umani diffondendo l’approccio trasversale e l’approccio tra pari, nonchè puntando a decostruire l’immaginario di violenza endemica rispetto sia alla donna che si ‘’contiene’’ sia verso i nostri corpi come ‘’incontenibili’’.

 

Uso di sostanze (sia a scopo ricreativo, che di dipendenza) e violenza di genere spesso sono due aspetti correlati. Quali sono le vostre azioni per aiutare donne o identità queer che sono vittime di queste situazioni?

Innanzitutto dobbiamo ridefinire ciò che può essere donna, zoccola, tossica. Riteniamo che il linguaggio sia il primo veicolo di ridefinizione rispetto a ciò che pretendiamo. 

Siete in contatto con altri collettivi in Europa? Potete parlarci della campagna europea “dei 16 giorni”?

Come sul territorio nazionale italiano abbiamo creato e mantenuto reti con progetti istituzionali e non, così anche a livello europeo. Siamo entrate recentemente in un Network europeo, NewNet, una rete europea di ONG che operano nei settori della promozione della salute e della vita notturna e per due anni abbiamo presentato il nostro collettivo e proposto workshop durante le conferenze a Berlino e Zurigo. 

Come collettivo facciamo parte da ormai 3 anni della rete SisterWUD (womxn who use drugs) che a sua volta fa parte della rete EuronPUD (people who use Drugs). Con loro seguiamo più campagne e iniziative, come “support don’t punish!” e 16 days of action against violence on WUD”, e abbiamo partecipato anche a delle ricerche europee tra cui una che analizza la violenza di genere durante il lockdown su donne che usano droghe. Quest’anno abbiamo portato per il terzo anno di fila in Italia la campagna dei 16 giorni di azione contro la violenza su donne che usano droghe, la quale inizia il 25 Novembre e termina il 10  Dicembre. Durante questi giorni abbiamo proposto una serie di attività e azioni per chiedere la fine della violenza sulle donne che usano droghe e il miglioramento delle politiche in materia di sostanze dal punto di vista transfemminista in un’ottica di riduzione del danno e della tutela dei diritti umani. Durante il periodo della campagna si presentano varie date rilevanti tra cui la  giornata mondiale dei diritti umani, giornata mondiale per contrastare l’HIV e la giornata mondiale sui diritti dell3 sexworkers. La campagna è promossa da WHRIN. YOUTHRISE, EuronPUD e viene supportata in molti paesi europei come Italia, Grecia, Portogallo, Spagna, Francia. 

 

Pubblicato in: Rivista

Analisti alla rinfusa ovvero come sfuggire al terapeuta

di Fiorella Malchiodi Albedi

Al primo mi sono presentata come collega: “Sono medico anch’io”. Errore! Perché lui non dimenticava mai che ero, appunto, una collega e a ogni mio racconto, prima faceva un commento, e poi mi spiegava, dal punto di vista medico, perché mi aveva risposto in quel modo. Insomma, il mio ruolo mutava di continuo: prima paziente, e subito dopo medico a cui si spiega una scelta terapeutica, e poi di nuovo paziente, e così via. Molto sbagliato. Lo sballottarmi da un lato all’altro della scrivania era fastidioso. Al terzo incontro gli ho spiegato che quella confusione guastava i nostri rapporti. Lui ha riconosciuto l’errore, se n’è dispiaciuto, ha tentato di recuperare, ma poi è stato d’accordo con me: lo sbaglio iniziale aveva pregiudicato il prosieguo della terapia. Ci siamo salutati, da buoni colleghi.

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Pubblicato in: Rivista

Manuale per coriandoli e pioggia

di Francesca Grispello

Piove fitto. È buio

C’è una figura di spalle, ha le braccia aperte, i gomiti formano un leggero angolo. 

Questa figura è quella di una femmina, che sia femmina è determinante. 

Ora chiudiamo e apriamo gli occhi. 

Un lampo. 

Chiudiamo e apriamo gli occhi ancora una volta. 

Un tuono. 

Ora sì, ora che i vostri occhi si sono abituati alla penombra, ora se insistete nell’accomodare la vista tra figura e sfondo, metterete a fuoco la bacchetta nella mano sinistra e il leggio che sporge ai lati della vita. La bacchetta è a sinistra perché lei è ambidestra, anche questo è determinante.

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