Pubblicato in: Attualità al femminile, Eppur son donne, Eppur son femmine

Anna Coleman Ladd: la scultrice che restituì un volto ai mutilati della prima guerra mondiale

di Elena Ciurli

Oggi abbiamo una triste familiarità con la chirurgia ricostruttiva del volto: tanti sono stati infatti negli ultimi anni i casi di donne sfigurate dall’acido nel nostro Paese, per cause che qui non è il momento di elencare (in Italia dal 2013 al 2017 i casi sono triplicati, e in Europa va anche peggio*).

I volti mutilati hanno un potere totalmente disturbante: non riesci a distogliere lo sguardo, non ti lasciano scampo.

Ma agli inizi del Novecento, con la prima guerra mondiale a distruggere corpi e anime, la chirurgia era in grado solo di rimettere insieme i pezzi, e cercare di far sopravvivere i soldati mutilati.

Le mutilazioni, le più gravi o compromettenti, non riguardavano gli arti, ma il viso, che restava scoperto.
Una gamba o un braccio di legno erano, oltre che un grave handicap, forse una storia da raccontare ai nipoti, ma un’intera parte del viso mancante era tutt’altro. Era la trasformazione da uomo in freak, mostro, fenomeno da baraccone, bestia. Era la morte sociale: si traduceva in sguardi orribili da parte della gente. Quegli sguardi di morbosa commiserazione, che ammazzano ciò che resta di una psiche già distrutta.

Ed è qui, in questa zona d’ombra, terra di rifiuto della propria immagine deturpata, che Anna Coleman Ladd è entrata a portar luce con la sua arte, e le sue maschere realistiche, che davano una nuova dignità a questi uomini dilaniati dalle bombe e dagli spari.

Anna Coleman Ladd (1878-1939) nasce a Filadelfia, e studia scultura alla Pennsylvania Academy of Fine Arts.

Si trasferisce poi in Europa e trascorre un periodo a Parigi e a Roma, dove prende lezioni di scultura e assapora l’arte del Vecchio Continente. La sua attività creativa è in fermento: organizza eventi artistici, inizia a scrivere, ma abbandona presto l’attività letteraria per dedicarsi alla ritrattistica (tra i suoi soggetti più noti Bette Davis ed Eleonora Duse).

Nel 1905 torna a Boston, dove incontra e sposa Maynard Ladd. Suo marito è un medico, e nel 1917, in pieno conflitto mondiale, lei lo segue a Parigi. L’uomo è in servizio nella Croce rossa Americana; Anna viene travolta dalla devastazione e dall’orrore della guerra.

Conosce Francis Derwent Wood, scultore e ufficiale dell’esercito britannico, che a Londra aveva creato il Dipartimento di maschere per volti sfigurati, servizio rivolto ai soldati mutilati al volto, in cui si realizzava una ricostruzione plastica del viso deturpato, in maniera il più possibile rispondente alla fisionomia originaria. Wood partiva da un meticoloso studio fotografico delle lesioni, realizzando poi maschere facciali adattabili al volto offeso.

Coleman Ladd capisce subito qual è la sua strada e decide di realizzare un servizio similare per la Croce Rossa Americana, a cui dedicherà buona parte della sua vita.

Ottiene il permesso dall’Esercito americano di fondare a Parigi uno studio artigianale dove grazie alla sua tecnica scultorea crea delle maschere facciali per i soldati mutilati.

Dalla maschera al volto

Il suo metodo di lavoro è preciso, certosino e prevede anche delle interviste preliminari con i mutilati, per capirne la storia, immaginarne espressioni e tratti caratteriali.

Poi si dedica all’analisi del danno facciale e alla realizzazione di un calco in gesso, argilla o plastilina da cui prende forma una maschera in sottilissimo rame galvanizzato.

Per dare un colore il più realistico possibile alle protesi, la scultrice dipinge direttamente con la maschera indossata dal soldato, così da renderla più uniforme al vero colore della sua pelle. Completa poi le maschere di ciglia, sopracciglia e baffi in capelli veri: una vera e propria protesi da poggiare sul viso e fissare con lacci o tramite occhiali speciali.

Parliamo di maschere: ma in realtà sono parti di volto, come mandibole, nasi o bocche, che non riescono a muoversi in espressioni vive, restano certamente fisse, ma in esse i soldati si riconoscono di nuovo come uomini, forse anche come se stessi.

Ben lontana dall’uso provocante e bizzarro che ne fanno le colleghe e i colleghi avanguardisti negli stessi anni, Coleman Ladd propone le maschere come uno strumento prezioso e dimostra come scienza e arte possano collaborare per un obiettivo comune.

Chissà cosa dicevano vedendosi per la prima volta con un volto nuovo, e cosa provava Anna Coleman Ladd, a veder la sua arte prendere vita sui loro corpi, quel rame a disegnarne nuove possibilità, di un’esistenza non serena, ma almeno dignitosa.

Anna realizza ben 185 maschere facciali.

Coleman Ladd continua con il suo lavoro anche dopo la guerra e questo impegno le fa meritare, nel 1934, il più alto riconoscimento da parte del governo francese: la nomina a Cavaliere della legione d’onore francese.

Nello stesso periodo storico, sull’onda di queste esperienze si sviluppano tecniche di chirurgia plastica ricostruttiva finalizzate proprio all’intervento sulle devastanti menomazioni prodotte da lanciafiamme, granate e gas.

Nel 1936, moltissimi anni più tardi dal suo arrivo in Europa, torna a Boston, dove si spegne nel 1939, pochi mesi prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.

Quante altre anime offese avresti voluto aiutare, cara Anna.

Una testimonianza preziosa

In questo video vediamo Anna Coleman Ladd e i suoi collaboratori nello studio per le maschere ritratto di Parigi, durante una giornata di lavoro qualunque.

 


* Dati del servizio del Sole24Ore sugli attacchi con l’acido, di 

 

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