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Julia Margaret Cameron: uno sguardo sognante su mondi fantastici

di Federica Bertagnolli

Desideravo arrestare tutta la bellezza venuta prima di me, e alla fine il mio desiderio è stato soddisfatto”

È stata una donna insolita, focalizzata con entusiasmo sulle proprie passioni a dispetto dei rigidi dettami dell’epoca in cui ha vissuto. È stata una fotografa – la prima a ottenere un posto alla Royal Photographic Academy –, un’artista destinata a rimanere incompresa da molti colleghi, e con il suo esempio di audacia e creatività ha rappresentato una fonte d’ispirazione indispensabile per una pronipote molto speciale, nientemeno che l’autrice britannica Virginia Woolf.

La donna in questione si chiamava Julia Margaret Cameron. Nata a Calcutta nel 1815, comincia a interessarsi di fotografia solo alle soglie dei cinquant’anni. In quel periodo, in cui i sei figli sono ormai cresciuti e il marito Charles Hay Cameron è quasi sempre lontano per lavoro, Julia rischia una pericolosa discesa nella depressione; discesa che per fortuna viene prontamente scongiurata dalla figlia, la quale ha l’idea di regalarle una macchina fotografica.

 Ritratto di Julia Margaret Cameron risalente al 1870 e realizzato dal figlio Henry Herschel Hay Cameron.

Dunque eccolo lì, pronto all’uso: un prodigio della tecnica capace di congelare su pellicola stralci di sogno, palpitanti frammenti d’immaginazione. Cameron inizia a scattare per gioco, approcciandosi a questo nuovo mondo con le capacità di una dilettante, ma con l’andare del tempo la sua passione cresce in modo esponenziale. Sullo sfondo della tenuta di famiglia sull’isola di Wight, sfruttando un pollaio dismesso e portando avanti i suoi progetti con fervore, allestisce una vera e propria camera oscura con annesso atelier dalle pareti di vetro: la cosiddetta Glass House. Più tardi, nel 1874, questo spazio diventerà il fulcro della sua breve autobiografia intitolata Annals of my Glass House. Per adesso è proprio qui che, uno scatto dopo l’altro, grazie alla magia dell’otturatore e dei sali d’argento, Cameron rende concreto l’universo della propria interiorità.

In questo suo passatempo coinvolge tutti coloro che le stanno intorno, a cominciare dalle sorelle, dalle amiche e dalle domestiche che davanti all’obiettivo vengono chiamate a vestire i panni di muse, ninfe, principesse, icone della cristianità. In breve tempo la Glass House diventa un microcosmo in cui fantasie e miti si immettono nel quotidiano donando concretezza alle romantiche utopie della sua proprietaria. In altre parole, l’intera cerchia famigliare dell’artista si lascia coinvolgere in messe in scena ricche di dettagli e gusto compositivo, autentici tableaux vivant di cui la fotografia conserverà tracce indelebili.

I soggetti preferiti di Cameron sono i bambini e le giovani donne. I suoi scatti sono popolati da figure celestiali, eteree e trasognate, dallo sguardo languido e perso nel vuoto. I più piccoli vengono ritratti come angeli, le ragazze più grandi vestono i panni della Vergine Maria o di bellissime dame immerse in contesti bucolici, con mazzetti di fiori tra le dita e lunghi capelli ondulati da eroine preraffaellite. Non a caso, sono proprio le opere della Confraternita dei Preraffaelliti a rappresentare una delle fonti d’ispirazione fondamentali per l’autrice, che lasciandosi guidare dal proprio gusto e dall’intuito dà vita a piccoli capolavori di estetica vittoriana.

Il giardino delle ragazze di Rosebud, 1868 La Madonna Addolorata, 1864.

Non tutti, però, sono persuasi della sua bravura. Secondo molti contemporanei, Cameron manca di tecnica: le sue fotografie sono imprecise, a volte rovinate con macchie, polvere o graffi, e soprattutto appaiono fuori fuoco. In realtà, quello che in molti associano alla poca dimestichezza o addirittura a dei presunti difetti alla vista è un effetto voluto, nient’altro che una scelta stilistica portata avanti a scapito della nitidezza del risultato. L’autrice sfoca le sue immagini di proposito, e in modo anche abbastanza spinto, così da poter scavare a fondo nella psicologia dei personaggi aumentando nel contempo la sensazione di sprofondare in un’atmosfera onirica, da leggenda popolare. Inoltre, afferma con orgoglio, il suo metodo è assai più aderente al reale di quello di altri, se si tiene conto del fatto che la vista umana è essa stessa sfocata ai margini e che di certo non può contare sulla chiarezza assoluta di ogni minimo dettaglio.

L’ostilità dei colleghi nei confronti di quelli che in gergo vengono chiamati “effetti alla Rembrandt” è da ricercarsi nel contesto storico. Sono anni decisivi, anni in cui la fotografia combatte ogni giorno per guadagnarsi un posto fra le arti. Appassionati di tutto il mondo tentano di dimostrare la legittimità del nuovo mezzo, e non intendono farlo mimando le caratteristiche di un medium come la pittura, forte di una tradizione secolare e basato sull’inventiva piuttosto che sulla rappresentazione fedele del reale. Julia Margaret Cameron si ispira ai dipinti, li emula sia per quanto riguarda i soggetti sia dal punto di vista tecnico, e per questo viene definita “pittorialista” e criticata di conseguenza.

La morte di Re Artù, 1874

Il primo riconoscimento per il lavoro svolto arriva nel 1864 grazie al ritratto di una bambina, tant’è che da quel momento in poi non mancano le sessioni fotografiche in compagnia di personaggi di spicco come Charles Darwin, William Michael Rossetti (poeta e fratello di Dante Gabriel Rossetti), Edward Burne-Jones (celebre esponente dei Preraffaelliti) e molti altri. Allestendo una serie di meravigliosi tableaux vivant, inoltre, Cameron realizza le illustrazioni per lo scritto poetico Idilli del Redi Alfred Lord Tennyson.

Senza allontanarsi dalla sua amata Glass House, Julia Margaret Cameron si dimostra un’artista in anticipo sui tempi, una performer che intuisce in modo del tutto spontaneo il potere a tratti magico della pratica fotografica. Agghindare amici e parenti con costumi di scena, gioielli e corone e invitarli a recitare davanti all’obiettivo è un gioco, certo, ma allo stesso tempo è molto di più; è un espediente creativo per indossare nuove identità, anche solo per la durata del tempo di posa – il quale, nel caso dei suoi scatti, tende a durare piuttosto a lungo.

Re Lear assegna il regno alle sue tre figlie, 1872

In definitiva, è così che Cameron passa da autodidatta priva di esperienza a fotografa professionista con un posto di tutto rispetto all’interno di alcune mostre d’arte – per esempio alla French Gallery – e le cui stampe vengono richieste a gran voce dal pubblico. Ancora oggi, che sia dal vivo o attraverso il bagliore di uno schermo, le sue fotografie colpiscono, facendoci guizzare nel petto una fitta di nostalgia per luoghi e persone che non abbiamo mai incontrato.

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