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Anna Coleman Ladd: la scultrice che restituì un volto ai mutilati della prima guerra mondiale

di Elena Ciurli

Oggi abbiamo una triste familiarità con la chirurgia ricostruttiva del volto: tanti sono stati infatti negli ultimi anni i casi di donne sfigurate dall’acido nel nostro Paese, per cause che qui non è il momento di elencare (in Italia dal 2013 al 2017 i casi sono triplicati, e in Europa va anche peggio*).

I volti mutilati hanno un potere totalmente disturbante: non riesci a distogliere lo sguardo, non ti lasciano scampo.

Ma agli inizi del Novecento, con la prima guerra mondiale a distruggere corpi e anime, la chirurgia era in grado solo di rimettere insieme i pezzi, e cercare di far sopravvivere i soldati mutilati.

Le mutilazioni, le più gravi o compromettenti, non riguardavano gli arti, ma il viso, che restava scoperto.
Una gamba o un braccio di legno erano, oltre che un grave handicap, forse una storia da raccontare ai nipoti, ma un’intera parte del viso mancante era tutt’altro. Era la trasformazione da uomo in freak, mostro, fenomeno da baraccone, bestia. Era la morte sociale: si traduceva in sguardi orribili da parte della gente. Quegli sguardi di morbosa commiserazione, che ammazzano ciò che resta di una psiche già distrutta.

Ed è qui, in questa zona d’ombra, terra di rifiuto della propria immagine deturpata, che Anna Coleman Ladd è entrata a portar luce con la sua arte, e le sue maschere realistiche, che davano una nuova dignità a questi uomini dilaniati dalle bombe e dagli spari.

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Sono una Burrnesha, vergine giurata. E sono un uomo per scelta.

di Elena Ciurli

Sono nata in Albania, ho 16 anni e sono la figlia più grande della famiglia. Viviamo su queste montagne maledette e mi piego sulla terra dei campi.

Sono una donna, un otre pronto a raccogliere il seme dell’uomo e a onorarlo. Non posso esprimere le mie opinioni, non posso fumare, bere grappa o scegliere il mio amante. L’uomo però deve essere gentile con me, non si può neanche sparare in mia presenza.

Ma io non voglio vivere così; preferirei gettarmi in un burrone. Nascere donna qui è come morire due volte.

Mia sorella ha solo 5 anni quando mio padre muore e serve qualcuno che prenda il comando. Per me è quasi naturale diventare una Burnessha, una vergine giurata, un uomo per scelta. Farmi tagliare le trecce e vestirmi come un maschio, schiacciare il seno con strette bende, non piangere più davanti agli altri; fare voto di castità per la vita. Divento uomo per essere libera. Posso mantenere alto l’onore della famiglia.

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Eleanor Marx: quanto può essere grande l’ombra di un padre?

di Elena Ciurli

Tutti conoscono il padre del Capitale, ma purtroppo pochi sanno che se non fosse stato per Eleanor Marx, la figlia di Karl, questa opera non avrebbe mai visto la luce.

Scrittrice, filosofa, appassionata di teatro e letteratura, ha tradotto in inglese Madame Bovary; è stata una delle prime femministe della storia, e un’importante attivista politica che ha affrontato temi come quello del lavoro minorile.

Vogliamo provare a raccontarvi la sua storia, di essere umano, e non di donna sempre dannatamente all’ombra della carismatica figura maschile. Dietro una grande donna, c’è sempre il suo sudore e il suo impegno costante, ma anche le sue fragilità, i suoi errori. Ecco il punto di vista da cui vogliamo partire per la nostra narrazione.

Questo è il ritratto sommario di Eleanor Marx, la piccola Tussy, con tutte le sue contraddizioni.

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Stephen King e la trilogia delle donne

di Francesca Santi

Dal 1999, il 25 novembre si celebra la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ma come ben sappiamo abusi e femminicidi sono all’ordine del giorno e, se in televisione una giornalista può indirettamente legittimare un assassino, domandandosi quanto fosse esasperante la vittima, è chiaro che la strada da fare per cancellare davvero un certo tipo di mentalità e raggiungere una reale parità di genere è molto lontana.

Ci sono autori, comunque, che amano e comprendono le donne, che sono dalla nostra parte e che riescono a trattare argomenti spinosi con un’efficacia rara: uno di questi è senza dubbio Stephen King.

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La madre del rock’n’roll: Sister Rosetta Tharpe

di Elena Ciurli

Volete sapere la verità? Il rock’n’roll è nato grazie al talento di una donna quasi sconosciuta al grande pubblico.

“Ha influenzato Elvis Presley, ha influenzato Johnny Cash, ha influenzato Little Richard. Ha influenzato innumerevoli altre persone che riconosciamo come figure fondamentali del rock and roll.”

Ecco che cosa scrive l’autrice Gayle Wald nella biografia di Rosetta Tharpe, la cantante e musicista afroamericana, che si è fatta strada nel mondo della musica alla fine degli anni Trenta.

Dall’Arkansas a New York Sister Rosetta ha gettato le basi per i pionieri del rock’n’roll.

Ha fuso gospel, blues e jazz per dare vita a qualcosa di nuovo: aveva un tocco selvaggio e crudo, suonava spesso la chitarra elettrica e distorta.

Un’artista dallo stile unico, con una sessualità fluida e un carattere anticonformista; una figura rivoluzionaria che come Donne Difettose sentiamo il dovere di ricordare.

“Sister Rosetta Tharpe era tutto tranne che ordinaria e insignificante. Era una grande, bella donna, e divina, per non dire sublime e splendida. Era una potente forza della natura”- Bob Dylan

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Donna nera, donna bianca – Them, il Doppelgänger e il riscatto nel cinema di Jordan Peele

di Beatrice Galluzzi

Molti di noi sono da poco usciti dalla visione di Them, serie horror creata da Little Marvin sullʼAmerica razzista degli anni ʼ50: una famiglia afroamericana, gli Emory, si trasferisce in un quartiere patinato abitato da bianchi borghesi ed è destinata a scontare in perpetuo lo sconfinamento in un territorio che non li vuole e non li rappresenta. Fin dalla prima puntata, l’elemento portante dellʼhorror passa in secondo piano rispetto alla possibilità che certe barbarie siano state – e continuino a essere – realmente perpetrate. A fare orrore, infatti, non sono tanto le presenze malefiche, gli spettri accaniti solo sugli abitanti di colore, ma lʼombra più viscida e obliante della discriminazione che vediamo riflessa nelle iridi dei protagonisti, in special modo nel personaggio di Livia “Lucky” Emory – Deborah Ayorinde – la cui frustrazione monta assieme a quella dello spettatore. Lucky è una madre risorta da un lutto interiore inaffrontabile, in cerca di una pace che non le è concessa; torturata dalle continue provocazioni della dirimpettaia, sminuita e oltraggiata, non ha alcuna intenzione di soprassedere, e guida la rivolta dellʼintera famiglia. Lʼescalation di rancore finisce per essere rassicurante: si avverte nelle movenze dei perseguitati che prima o poi esploderanno, chiudendo il cerchio disegnato a terra con il sangue dei persecutori – ci ricorda qualcosa? Tarantino notre amour.

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Il ritratto dello scandalo: Isabella Borrelli

di Deborah D’addetta

Vincitrice della categoria “Ritratti” per il concorso di Igers Italia 2020, Isabella Borrelli vive a Roma da sei anni ed è diventata punto di riferimento della comunità kinky[1] della capitale. Nasce come fotografa: alcuni suoi lavori sono stati selezionati dalla Biennale di Venezia ed esposti al MACRO di Roma, ma ha una speciale predilezione per i ritratti. La foto vincitrice del concorso Igers ne è la testimonianza. Una foto che ha fatto parlare di sé, che ha diviso il pubblico, tra scettici e denigratori e sostenitori appassionati.

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Lei vuole vendetta – Elisa Lam, la Contessa & il Cecil Hotel

di Beatrice Galluzzi

Quando il trailer sul Cecil Hotel è apparso sulla mia homepage di Netflix, ho capito che la piattaforma si è allineata sulle mie preferenze, fatte di storie vere che si cancerizzano attorno a drammi irreparabili; esistenze amputate senza alcun mandante che non sia la sorte, quindi più vicine possibile alla realtà.

Eppure, in una serie come “Sulla scena del delitto: il caso del Cecil Hotel”, si parla di vicende difficili da concepire come realmente accadute – se non, per lʼappunto, seguendo la rigorosa documentazione mediatica e scientifica di cui si fa carico un documentario true crime.

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“Mangia, consuma, ama” – le guide perverse di Sophie Fiennes & John Carpenter

di Beatrice Galluzzi

“Siamo obbligati a godere. Il godimento diventa una specie di strano dovere perverso.”

Della regista inglese Sophie Fiennes non si sa molto – a parte che è figlia e sorella dʼarte – e in Italia si conoscono poco anche i suoi documentari su Lars Von Trier, Anselm Kiefer e Grace Jones. Ma entrambe le sue guide perverse hanno avuto in discreto successo e ora i possono vedere su Prime Video (Guida perversa al cinema, 2006, e Guida perversa allʼideologia, 2012).

C’è un Leitmotiv che la documentarista riprende nei ritratti dei suoi personaggi – da quelli più famosi ai più schivi – ed è il risvolto occulto del consumismo, risvolto sul quale lei mette il fuoco in modo obliquo e che arriva in tutta la sua sconfinata rovina – possibile, ci chiediamo, ignorare certi meccanismi così apertamente? La Fiennes non riprende cosa cʼè di sfarzoso nella società consumista, bensì si concentra sugli scarti – come ha fatto in Over your cities grass will grow, 2010, dove stringe zoom lentissimi sui dettagli del complesso industriale abbandonato che diventerà la dimora dellʼartista tedesco Kiefer. Enfatizza le minuzie del disfacimento, ed è così che ne fa emergere i resti.

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L’uomo propone, la donna (in)dispone – Che cosa abbiamo ancora da dirci sulla violenza di genere?

di Beatrice Galluzzi

Molte di noi sono state vittime o testimoni di un atto di violenza. E oggi, nella giornata che intende ricordarlo al mondo, cosa possiamo dirci che già non sappiamo?

Lo abbiamo chiesto, in modo diretto, alla nostra sociologa e mediatrice familiare dott.ssa Benedetta Bernardini.

Sui media si parla sempre più spesso di femminicidio e violenza contro le donne, ma quali sono gli aspetti che vengono omessi quando si affronta un tema così tristemente noto?

A rimanere sullo sfondo è la responsabilità delle persone vicine alla vittima. Se una donna subisce violenza, se viene uccisa, chi la conosce – a causa di un immaginario collettivo radicato ‒ tende ancora a pensare “poverina ha scelto l’uomo sbagliato”, colpevolizzandola nuovamente, ed escludendosi da una qualsiasi responsabilità. 

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