La donna che volava con i numeri
di Alice Scuderi
Matematica, sostantivo singolare femminile. Eppure tendiamo a dargli una connotazione neutra, mentre la professione – il matematico – quella è decisamente maschile. E se è vero ora, figuriamoci nel XIX secolo, quello in cui il massimo livello di cultura raggiunto dalle donne era rappresentato dallo studio del pianoforte e del ricamo. No, non era per niente facile allora seguire i voli pindarici della propria mente, soprattutto se invece di ragionare di trine e merletti, si voleva giocare con i numeri. Ma se la scienza non era roba da donne, era meglio non lo fosse nemmeno la poesia, visti gli effetti.
Questo deve aver pensato Annabella Milbanke, unica moglie -ma tra i tanti amanti- dell’eccentrico Lord Byron, di fronte alla figlia Augusta Ada, nata da questa unione male assortita. Voleva sopprimere in lei ogni scatto immaginifico, considerato pericoloso e potenzialmente distruttivo, proveniente proprio dal folle sangue paterno. Fu subito allontanata dalla casa del poeta, e avviata agli studi scientifici per i quali aveva grande propensione, proprio come la madre, matematica anche lei.
Da bambina, invece di giocare con le bambole, Ada studiava un modo per poter volare e siccome non era una che prendeva queste ricerche alla leggera, realizzò anche un manuale, “Flyology”, in cui riportò in modo analitico tutti i suoi tentativi. Non c’era niente di sentimentale nel suo desiderio di scoprire i segreti del volo, piuttosto quell’insaziabile voglia di spiegare l’inspiegabile che appartiene ai veri scienziati.
E a conferma dell’assurdità delle teorie che considerano il sesso maschile più propenso all’attività scientifica, Ada fu istruita in matematica e scienze, e non dal primo cretino recuperato in un pub, ma da Mary Sommerville, illustre matematica e traduttrice in inglese dei lavori di Laplace, i cui testi venivano utilizzati dall’Università di Cambridge.
Ma fu l’incontro con Charles Babbage, inventore della macchina differenziale e della macchina analitica, il vero trampolino per il suo grande salto; cominciò a studiare i metodi di calcolo realizzabili con la sua invenzione e nella corrispondenza che intrattenne con lui, commentò e fece importanti annotazioni sul suo lavoro. Babbage rimase affascinato dalla sua intelligenza e abilità, tanto da definirla in una delle sue lettere “l’incantatrice dei numeri”. Non si trattava di incantesimi però: quella di Ada era la naturale capacità di leggere la realtà attraverso la lente della scienza, spingendosi anche avanti nel tempo. È così che, in un suo articolo, pubblicato nel 1843, descriveva la macchina di Babbage come uno strumento programmabile, prefigurando quindi il concetto di intelligenza artificiale; ed è così che una delle sue note, in cui descriveva un algoritmo per calcolare i numeri di Bernoulli, viene oggi considerato il primo programma informatico della storia.
Non c’è nessuna magia, Ada riuscì semplicemente nella sua impresa di bambina: volare, sopra gli spazi infiniti del mondo matematico.