di Alice Scuderi

Che questo fosse un anno strano, si era capito ormai.
Pandemia, lock down, distanziamento sociale, eventi climatici estremi, e ora ci si mettono anche gli svedesi, assegnando ben 2 premi Nobel, per la chimica e la fisica, a tre donne.
Sì, avete capito bene. Il gentil sesso, gli angeli del focolare, le madri, sono state anche capaci di eccellere, fino al massimo riconoscimento, in campo scientifico, un ambito che notoriamente (o qualcuno direbbe, geneticamente) è considerato prerogativa maschile.
Qualcosa sta davvero cambiando? Sebbene una rondine non faccia primavera, e il gender gap nelle professioni scientifiche e nelle posizioni di responsabilità, sia ancora enorme, l’italiana Fabiola Giannotti al CERN, il record di permanenza nello spazio di Samantha Cristoforetti per l’Italia e di Peggy Whitson per gli USA (record assoluto questo, avendo superato anche i colleghi maschi), gli ultimi premi Nobel assegnati: i segnali di un cambiamento ci sono, ma nonostante il fiume sia stato valicato, la meta è ancora lontana.
Basta poco per ripiombare in una realtà fatta di stereotipi e divisioni dure a morire.
Basta un titolo di giornale per ricordarci qual è, secondo loro, il nostro posto: “Ok, ogni tanto una passeggiatina fuori, nel mondo scientifico, potete anche farvela, ma tornate per cena, d’accordo?”
Se Andrea Ghenz, premio Nobel per la fisica 2020 (assegnato finora a solo 4 donne dalla sua istituzione nel 1901), è prima di tutto madre e nuotatrice per un giornalista dell’HuffPost, per le due vincitrici del Nobel per la chimica, Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, la stampa italiana ci ricorda immediatamente che son donne. Chissà, forse esiste un gene del maschilismo che la loro straordinaria scoperta potrebbe rimuovere…Le due scienziate, microbiologa la prima, biochimica la seconda, hanno infatti scoperto e sviluppato il metodo di editing del genoma denominato Crispr/Cas9, un sistema individuato nelle creature più piccole e straordinarie dell’universo: i batteri. Alcuni di questi nostri microscopici coinquilini possiedono un meccanismo che gli consente di difendersi dall’attacco dei virus (le creature-non creature che ci affliggono in questo periodo di pandemia): posseggono un complesso, Crispr/Cas appunto, in grado di riconoscere particolari sequenze presenti nel DNA del virus e di modificarle, inattivando quindi l’agente infettivo. La sequenza pericolosa viene tagliata e sostituita, come farebbe un bravo sarto di fronte al difetto di un bell’abito di haute couture. Ricamare non è mai stato tanto vitale.
È facile capire come mai l’Accademia Reale delle Scienze svedese abbia deciso di assegnare proprio a loro il prestigioso premio: le implicazioni di questa scoperta potrebbero essere rivoluzionarie, in campo medico ma non solo. Un progetto in fase di studio per esempio ipotizza di modificare, attraverso l’elevata precisione di Crispr/Cas9, il genoma di Anopheles gambiae, la terribile zanzara anofele, vettore del plasmodio che causa la malaria, una malattia nella maggior parte dei casi fatale che colpisce ancora più di 200 milioni di persone nel mondo.
Tagliando e cucendo con precisione millimetrica il suo DNA, le si potrebbe impedire di riprodursi, portando quindi all’estinzione della specie. E qui, inevitabilmente, l’Etica alza la mano e schiarendosi la voce ci pone quesiti che ci lasciano un po’ interdetti: ma non staremo giocando a fare Dio? E le conseguenze ecologiche della scomparsa di una specie?
Sebbene un mondo senza zanzare rappresenti un possibile paradiso per molti di noi, si tratta di dubbi legittimi, che hanno sconvolto anche una delle sue scopritrici, l’americana Jennifer Doudna. La potenza straordinaria di una tecnica al cui utilizzo “solo l’immaginazione può porre limiti” (parole dell’Accademia) l’ha lasciata a fronteggiare due schieramenti opposti: mentre alcuni hanno accolto Crispr/Cas9 con l’entusiasmo che si riserva alla scoperte in grado potenzialmente di eliminare malattie terribili, come il cancro, per altri il rischio di un futuro distopico, con embrioni modificati per generare “bambini su misura”, è dietro l’angolo.
La stessa Dr. Doudna, di fronte all’annuncio di un team di scienziati cinesi che avrebbero già adottato questa tecnica su embrioni umani, benché difettosi, ha affermato “l’idea che si possa influenzare l’evoluzione è qualcosa di molto profondo”. E pericoloso.
La scienziata americana non si arrende agli spauracchi, perché vuole davvero vedere questa tecnologia utilizzata per aiutare le persone e combatte anche per evitare che un metodo tanto rivoluzionario possa generare mostri speculativi, con l’unico intento di fatturare.
Alla fine fa sorridere pensare che sia stata premiata una tecnica che rimanda a tradizionali passatempi femminili, ma la sartoria molecolare che queste due scienziate hanno sviluppato, potrebbe lasciarci in eredità ben più che centrini di pizzo!
Se volete saperne di più:
Jennifer Doudna, a Pioneer who helped simplify Genome Editing, The New York Times
Il premio Nobel per la chimica alla rivoluzione Crispr Le Scienze