di Veronica Galletta
Lo ammetto, anzi lo premetto, anzi lo rivendico. In questo spazio sono decisa a parlare di donne, solo di donne, che siano poetesse scrittrici o registe o attrici o danzatrici. Perché? Perché come diceva Emanuela Cocco quando quest’estate ha organizzato la staffetta difettosa, mi va così.
Però come regola ha la sua eccezione, o come ogni eccezione ha la sua regola, ecco oggi Gesualdo Bufalino. Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di partecipare a una conferenza su di lui, piena di storie, di aneddoti, di spunti, e allora ho pensato che no, dovevo farmi un appunto su di lui pure qui, in veste di matrigna.
Ho scelto, fra tutte le varie cose, questo pezzo qui, tratto da «Museo d’ombre», edito da Sellerio. Mi piace questa donna che esce di notte e che fa paura, in fondo è il sogno di ogni matrigna. Usare quello che ci è accaduto (perché qualcosa è sicuramente accaduto a questa donna) per far scantonare gli altri, ingigantite della luna. Sul fraseggio di Bufalino, gli aggettivi, le pause, le virgole, non dico nulla. Non è necessario.
«EMANUELA DELLE MEZZENOTTI
Mai che uscisse di casa prima dei dodici colpi della campana di San Leonardo. Si avvolgeva allora attorno alle magre ossa un interminabile scialle e cominciava a camminare per le strade, mormorando e cantando, con uno strano passo saltabeccante e perplesso, simile all’ultimo volo di una nottola ferita. Rapitori di giovinette e mandanti di serenata, solo a sentire la sua voce, scantonavano senza voltarsi. Gli stessi ladri rincasavano in fretta, a mani vuote, se accadeva loro di scorgere all’improvviso sul selciato la sua ombra nera, tutta spigoli, ingigantita dalla luna.»
