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Chilografia – Diario vorace di Palla

PicsArt_04-23-05.17.06Leggere “Chilografia” di Domitilla Pirro (Effequ, 2018) mi ha condotto nella dimensione chimerica che ricercavo da tempo, ed è quella in cui riescono a convivere accuratezza linguistica e spontaneità letteraria.

Il Diario di Palla, lo sfogo materiale della sua bulimia totalizzante, è un rendiconto ossessivo che contagia il lettore, facendolo diventare parte della malattia fino allʼultima parola, dellʼultima riga, dellʼultima pagina.

Palma – o meglio Palla – è affetta dalla smania di divorare. Si capisce dal momento del suo concepimento nel ventre materno. È infatti questa la metrica che bilancia il tempo, in una crescita direttamente proporzionale a quella della protagonista. Sua madre Stefania, in travaglio, nota subito la differenza rispetto alla nascita della prima figlia: “Era successo già per Clara, ma allʼepoca collaboravi, non subivi; adesso lʼepisiotomia manco la senti, perché non ce stai coʼ la capoccia, Stefà, te ne sei andata. È questo che sta dicendo il ferrista alla caposala. Che la placenta previa manda tutto a farsi fottere, che ci sta un tappo davanti al buco, cioè, in realtà non ha detto così,  ma lo ha pensato, e ha detto solo che forse la paziente non regge.” Dopo poco che è venuta al mondo, a Palma (ʼa pupetta) toccherebbe lʼestrema unzione. E insieme a lei anche alla madre. Eppure sopravvivono entrambe, nella santa domenica delle Palme. Da lì, il nome della nascitura. Da lì, lʼaccrescimento della sua zavorra.

La difformità di Palma, sia dal resto della sua famiglia che dai compagni della stessa età, si intravede in una messa a fuoco volutamente opaca, ma perfettamente nitida quando si tratta di narrazione, fregiata da continui cambi di registro e di persona. Nelle viscere di Palla cʼè una crudeltà latente e ancora inerme; unʼinsospettabile ferocia, nascosta tra i pacchetti di merendine e i bomboloni; una piantina carnivora da coltivare in serra. “Si limitava a immaginare le modalità con cui stroncare fisicamente il nemico. Di notte, al massimo, piangeva con la faccia dentro al muro e il cuscino di Barbie sulla testa. Piano inferiore del letto a castello e, ovviamente sua trincea personale. Notte dopo notte, Palma pianificava tattiche con la fronte appoggiata allʼintonaco. Sentiva la parete sibilare di strilli trattenuti e suoni di plastica, suoni secchi e aperti. Schiaffi. Questa era la guerra dei muri.” Fermarsi all’aspetto visibile di una ragazzina come lei non fa che sfumare i contorni, e distrae dalla vera voragine, impossibile da saturare, che alberga nella sua dimensione immaginifica. Palma, la figlia più piccola di una famiglia scomposta, si raggomitola in disparte. Gli anni le scorrono dentro come un flusso continuo di liquidi pregni di sostanza, ma che non la nutrono e non riescono a catalizzarla. “Palma è: lʼimmobilità dei sassi del fiume, la durezza precaria di un gheriglio, la friabilità delle ossa vecchie, la vuota compostezza della lettera O. Accucciata ai piedi dei gradini con le mani sulle orecchie e gli occhi molto aperti.”

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Il conto di presenta in una delle tappe del suo percorso scombinato, e nessuno si fa avanti per pagarlo, tantomeno lei che “Preferiva cercarsi le risposte da sola, forte delle sue domande formulate a metà. Una volta, per esempio, era corsa a cercare lʼImene in salotto.” Non è certo una principessa abnorme che attende di essere salvata, Palla, perché quello che è risulta in quieta armonia con ciò che vuole essere. E trova chi si impegna a venerare questʼessenza in purezza. Angelo, che discende come un presagio, è il ragazzo che fa dellʼingordigia di Palma il fulcro della sua devozione. I due si fondono, ciascuno assecondando il proprio morbo, e a loro insaputa mettono in scena il risvolto dellʼideale profetico. Vanno a vivere nella Stalla, un vecchio appartamento di famiglia, e la loro devianza finisce per sacralizzarli. Insieme costruiscono qualcosa di pericolante, qualcosa dal quale ci si deve guardare, qualcosa che quando si realizza è sempre troppo tardi:Qualcosa di intero e sano, fondato sullʼintesa reciproca, sul sesso, su una stabilità senzʼaltro maggiore di quella che Stefania a suo tempo non aveva saputo fondare né tantomeno proteggere. Per Palma, già prima di diventare un orfano Angelo doveva aveʼ patito ʼnzacco, porello. Moʼ ce pensava lei.”

Eccome se ci pensa, Palla.

Tra le righe di Chilografia si ramificano ossessioni tossiche capaci di edificare nuovi mondi. E sono mondi palpabili, e scomodi. Mondi alla nostra portata. Mondi in cui Domitilla Pirro riesce a farci trovare a nostro agio, insegnandoci persino a fare gli onori di casa.

PERIODO IN CUI LEGGERE “CHILOGRAFIA”, DIARIO VORACE DI PALLA

Se avete presente quella sensazione di perenne mancanza che vi si mantiene in equilibrio sulla bocca dello stomaco, beh, lasciatela dovʼè. Non penserete che sia una spazio da riempire, vero? Perché quello di cui vi convincerà questo libro è proprio la rassegnazione di doverci fare i conti, con la penuria, e il prima possibile. Quindi leggetelo, soprattutto se siete convinti che la prima foto del buco nero potrebbe combaciare con la radiografia del vostro addome.

COLONNA SONORA DA ASCOLTARE DURANTE LA LETTURA 

Diamanda Galas, la dea delle vocalizzazioni estreme. Il suo canto è unʼalternanza tra grida stridenti e flebile poesia. Non si può non associare la linea dissonante del suo sound blues & dark alla ricchezza del patrimonio linguistico laziale, dal quale lʼautrice di questo libro attinge le espressioni, riuscendo a formulare frasi e periodi perfettamente armonici.

Quello che vi propongo per “Chilografia” è lʼalbum “Malediction and prayer“, uscito nel 1998, in particolare la canzone “My life is empty without you“. Di nuovo, il vuoto che non si colma. Ascoltate Diamanda in questa performance dal vivo, nel tour sottotitolato Concert for the damned.

 

di Beatrice Galluzzi

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