di Benedetta Bernardini
Quando si parla di violenza spesso ci si riferisce a quella fisica, ma i maltrattamenti nei confronti delle donne – che purtroppo sono innumerevoli – si celano anche dietro atteggiamenti aggressivi, gesti sgarbati e colpevolizzazioni che passano inosservati, specialmente in ambito medico. Ecco perché oggi voglio affrontare la problematica della “violenza ostetrica“, fenomeno ancora poco conosciuto in Italia e portato alla luce solo negli ultimi anni.
Con violenza ostetrica si intende un insieme di comportamenti che minano la libera scelta della donna nel momento del parto e dopo il parto. Come spiega l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e come sostengono molti studi scientifici, la violenza ostetrica è la forma più invisibile e normalizzata della violenza contro le donne. Invisibile in quanto il parto è generalmente un evento accolto con gioia ma di fronte al quale noi donne non siamo del tutto preparate. Ci affidiamo in buonafede a medici, ostetriche e deleghiamo alla sanità un percorso estremamente delicato per noi e per la nostra famiglia.
Nel documento “La prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere” l’OMS delinea un quadro inquietante, in cui si parla di abuso fisico diretto, abuso verbale; procedure mediche coercitive o non acconsentite; mancanza di riservatezza; rifiuto di offrire terapia del dolore adeguata; rifiuto di recezione nelle strutture ospedaliere. A tal proposito, In Italia è nato l’”Osservatorio sulla violenza ostetrica” con l’obiettivo di raccogliere dati e informare le donne su questo fenomeno, di cui si parla ancora troppo poco. I dati raccolti indicano che per 4 donne su 10 (campione di 5 milioni di donne) l’assistenza al parto è stata lesiva della loro dignità e integrità psicofisica. Basti pensare che, proprio in Italia, è ancora particolarmente usata l’episiotomia (il taglio del perineo), pratica medica che dovrebbe essere applicata solo in casi rari e dopo aver autorizzato la struttura sanitaria. Questo perché, in diverse occasioni, si tende allʼeccessiva medicalizzazione del parto. Alcune altre praticate considerate lesive della dignità e dell’integrità della donna sono: uso della ventosa o del forcipe, rottura artificiale delle membrane, manovra di kristeller manuale o strumentale e induzione farmacologica del travaglio. Ma sono i più disparati, i modi in cui una donna subisce violenza ostetrica, così come sono diverse le esigenze e le condizioni di una partoriente.
Vi racconterò cosa è successo a me, madre di una bambina di tre anni – nonostante fossi pronta, preparata, e avessi seguito il piano del parto. Al momento delle contrazioni mi sono recata in ospedale. Le mie non erano contrazioni vicinissime e tutto sommato stavo bene, camminavo, parlavo normalmente, avevo dei dolori sopportabili. Dopo avermi attaccato al tracciato, lʼostetrica mi ha detto le seguenti parole “Questi non sono i dolori del parto, sono doloretti! Ci sta che lei partorisca anche fra una settimana. Ma voi che venite a partorire pensate che il parto sia una passeggiata? Guardate troppa televisione. I dolori del parto sono forti, non come questi! Se ne vada a casa, su, e torni solo se ha le contrazioni ogni cinque minuti.” Io ho fatto come mi era stato detto, e non avendo le contrazioni ogni cinque minuti, ho passato la notte a casa fino a quando ho cominciato a sanguinare. Solo dopo lʼinsistenza del mio compagno mi sono recata dal mio ginecologo. Quando il medico mi ha visitata, avevo una dilatazione di otto centimetri e ho partorito poco dopo – non avendo mai avuto le contrazioni ogni cinque minuti! Questo è per farvi capire quanti pregiudizi e falsi miti permangano ancora in ambiente ostetrico e ginecologico e come – molto spesso fra donne – non si trova quella complicità e quellʼaccoglienza di cui si avrebbe particolarmente bisogno in un momento complesso come quello del parto.
Ma, come vi ho anticipato, la violenza ostetrica viene inferta anche a dopo la nascita del bambino. Lʼallattamento è unʼaltra fase nella quale spesso il personale specializzato non si pone in modo adeguato e accogliente. Ho visto mamme non avere latte e sentirsi inutili, attaccare il seno al tiralatte per mesi, disperate, perché nellʼospedale dove avevano partorito vigeva il fanatismo dellʼallattamento al seno; ne ho viste altre uscire dal reparto di ginecologia con il biberon in mano, su consiglio immediato del pediatra, con tanto di marca di latte consigliato. Anche queste forzature sono violenza.
Qui di seguito vi riporterò alcune testimonianze di donne che ho seguito nella mia professione di counselor:
“Apri le gambe, veloce! Non ti lamentare, lʼhai voluto tu.”
“Sbrigati, che se il bimbo muore è colpa tua.”
“Non sai spingere.”
“Forza, alzati, mica sei la sola ad aver fatto un cesareo.”
“Vai a casa, tanto è un aborto.”
“Devi insistere, che il latte ti viene per forza.”
“Che pretendevi, a fare un figlio a quarant’anni?”
Come si prevengono e si contrastano questi maltrattamenti? Per esempio, con il piano del parto e attraverso la consapevolezza: essere più preparate vuol dire essere pronte a difendere noi stesse e il bambino.
Se siete state vittime di violenza ostetrica raccontateci la vostra esperienza. Le testimonianze saranno pubblicate – in anonimato – solo se lo vorrete.
Scrivetemi una mail a benedetta.bernardini@hotmail.com