Pubblicato in: Eppur son donne

PRIMO PIANO INTERNO FEMMINILE: UN MOTIVO IN PIÙ PER GUARDARE “BIRD BOX”

di Beatrice Galluzzi

Bird Box, appena uscito per Netflix, è un survival horror che mostra, per alcuni versi, molte similitudini con altre pellicole sul genere. Il film è basato sul libro omonimo di Josh Malerman – titolo in Italia tradotto con La morte avrà i tuoi occhi. Tutto ruota attorno a delle ipotetiche presenze, che una volta messe a fuoco inducono le persone al suicidio. Il problema si diffonde in modo epidemico e il genere umano, di conseguenza, è al capolinea. Tanto per cambiare, verrebbe da dire.

Da World War Z a Io sono leggenda, passando per 28 Giorni Dopo, le dinamiche si alternano, sfociando in un esito comune: saranno virus submicroscopici – diffusi attraverso sangue, morsi, aria, vista – ad azzerare la popolazione terrestre. Eppure, è evidente che dallʼimmaginario apocalittico si possa ancora attingere. Specialmente perché a guidare le redini del film è la regista danese Susan Bier – che nel 2011 ha vinto sia il Golden Globe per il miglior film straniero che l’Oscar al miglio film straniero per In un mondo migliore.A essere la musa della Bier è una Sandra Bullock perfettamente immersa nel ruolo (Malorie), una protagonista che si porta appresso tutto il film – cʼè anche John Malcovich, ma è come se facesse un cameo. La cosa interessante della pellicola, a parte il soggetto allʼapparenza non innovativo, è la sottotrama, ovvero le relazioni che si instaurano nei momenti di lotta estrema per la sopravvivenza – e attenzione, perché su questo si sono tenute in piedi ben nove stagioni di the Walking Dead. Questa volta, però, si parla di una madre. Più precisamente, di una donna incinta che non vuole esserlo. Malorie, infatti, si trova nel mezzo della follia collettiva e dei suicidi di massa non appena uscita dallʼospedale, dove si trovava per fare lʼecografia – prendendo in considerazione lʼidea di dare il bambino in adozione. Nel giro di pochi minuti le strade sono diventate ingombre di individui urlanti che si gettano tra le fiamme e sotto le macchine. Malorie riesce rifugiarsi in una casa e si barrica dentro – coprendo tutte le finestre, così da non vedere i mostri – assieme al resto dei pochi sopravvissuti. Rimarrà bendata e isolata dal mondo esterno per i successivi cinque anni, prendendosi cura di suo figlio e di quello di una donna che ha partorito con lei, per poi togliersi la vita. Eccoci. Da qui si snoda il risvolto innovativo: la battaglia persa. Che non si consuma – soltanto – tra la protagonista e il male. Ma tra le sue convinzioni e le azioni in cui esse sfociano. Non voleva essere madre? Beh, è propria la sua assenza di senso genitoriale a mettere tutti in salvo. A bussare alla porta – oltre ai mostri – è lo spirito materno di Malorie a cui lei, consciamente, continua a non aprire. Cresce i suoi figli senza alcun tipo di conforto: niente favole della buona notte, niente segni spontanei di affetto. Non ha nemmeno dato loro un nome: li chiama soltanto “bambino” e “bambina”.

Eppure, stabilisce le regole, organizza la loro vita, determina i confini , li prepara a un esterno spietato. Tra le prime sequenze del film, ci si affaccia sulla determinazione irremovibile di Malorie, plausibile solo in caso di estrema freddezza emotiva. Ecco come si rivolge ai bambini: “Ascoltatemi, ve lo dirò una volta sola: faremo la gita, adesso, e sarà molto pesante. Vi sembrerà un viaggio che durerà un sacco di tempo, quindi sarà difficile stare allʼerta. Sarà ancora più difficile stare anche in silenzio, ma dovete fare entrambe le cose. Dovete fare ogni singola cosa che vi dico, oppure non ce la faremo. Avete capito? In nessuna circostanza vi è permesso togliervi la benda dagli occhi. Se scopro che lʼavete fatto, io vi farò del male.”

Andando avanti con la visione e avvicinandosi al finale – dopo un susseguirsi mai interrotto di scene convulse, senza mai prendere fiato un solo secondo – si riesce a intravedere la complessa strutturazione di un personaggio come Malorie: la stessa madre che allʼinizio ci appariva snaturata. Scopriremo infatti che sì, lo è, ma in modo talmente coerente e inammissibile da potere accomunare molte donne che hanno un loro personale tipo di attaccamento, e lo dimostrano senza scene melense da vecchio cliché hollywoodiano (quelle casalinghe in carriera che, dopo aver preparato la colazione al figlio, gli dicono ti voglio bene).

Ecco il vero motivo per guardare Bird Box: perché se vi sentite intrappolate in un gabbia per uccelli, osservando i vostri figli aspettare sulla soglia, scoprirete che la gabbia è sempre stata aperta.

Curiosità: Nella versione ufficiale del film i mostri non appaiono mai ma, su richiesta della produzione, la regista ha dovuto girare delle scene dove si vedevano. Il risultato è stato tuttʼaltro che spaventoso: dando forma agli spauracchi li si rendeva ridicoli. Per questo le suddette scene sono state tagliate.

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