Pubblicato in: Attualità al femminile, Interviste difettose, Senza categoria

L’arte non ha genere: Valentina Formisano

di Elena Ciurli

Questo appuntamento delle Interviste Difettose è dedicato a Valentina Formisano: artista dal talento enorme e dalla sensibilità tridimensionale, che utilizza ogni mezzo espressivo per dare forma alle sue ispirazioni. Pittura, illustrazione, incisione, installazioni, racconti, Valentina non si ferma proprio mai.

Le abbiamo fatto alcune domande per farci conoscere le sue creature, le sue storie.

Ritratto-vale

Ti sei formata all’Accademia di Belle Arti di Macerata con indirizzo pittura. Quali Erano i sogni e le speranze da giovane matricola e come si sono poi sviluppate la tua tecnica e sensibilità artistica nel corso degli anni?

In realtà ho conseguito poi una specialistica in Grafica d’Arte e sebbene il triennio fosse in Pittura, la folgorazione per l’incisione, e l’amore per il disegno mi hanno sempre portata ad essere più un disegnatore/incisore che una pittrice.
Quello che speravo da matricola, forse non me lo ricordo più. Quello che sapevo e so fare, non me lo ha insegnato nessuno; la tecnica si affina con l’esercizio e spesso, un’inclinazione innata, aiuta più di cento scuole e professori. Ma alcuni incontri sono stati fondamentali, specialmente per capire quanto il mondo dell’arte fosse complesso (e questo è importante, perché si ha la falsa illusione che per chi è un creativo tutto sia possibile). Ciò che ho imparato avrebbe dovuto portarmi a desistere: la possibilità concreta di essere un vero artista è un po’ come quella di essere un poeta…citando Moravia al funerale di Pasolini “Di poeti non ce ne sono tanti dentro il mondo. Ne nascono tre o quattro soltanto dentro un secolo”. E così vale per un artista. Non credo di poter e dover essere uno tra questi tre o quattro, ma un intellettuale onesto, quello sì. Per me l’artista è un pensatore.
Volevo essere un pensatore. Ma non è sempre facile tradurre i propri pensieri in immagini eloquenti. La mia ricerca artistica sul concetto di morte, ad esempio, è certamente meno apprezzata rispetto ad alcune mie produzioni “meno impegnate”, più inerenti al mondo dell’illustrazione e quindi più accessibili sia come linguaggio visivo che come contenuti. Quello che dunque ho maturato col tempo e continuo a focalizzare sempre meglio, è che l’intransigenza che a noi invece piace chiamare “onestà intellettuale” deve imparare a strizzare l’occhio al mercato, senza per questo scadere.
Il vero artista, o perlomeno un artista che funzioni, è quello che senza tradire i propri intenti ha imparato il codice per comunicare più o meno con tutti.
L’élite è bella, anche la nicchia, ma l’artista è il comunicatore per antonomasia: se parla solo a tre persone, è la fine.

Quali sono i tuoi artisti o correnti artistiche di riferimento?

Da incisore sono affascinata senza dubbio dal periodo che va dalla fine dell’Ottocento agli anni ’30 del Novecento. Nel periodo dell’Art Nouveau il concetto di linea e di segno raggiungono picchi di eleganza e sintesi mai ravvisati.
Cerco di desumere da incisori straordinari come Otto Greiner, Sigmund Lipinsky, Anders Zorn e Duilio Cambellotti cosa significa creare dei volumi col segno: una tecnica sopraffina che si carica di espressione attraverso il gesto stesso e la vibrazione minutissima contenuta nel tratto.
Da questi apprendo la lezione sulla composizione, sul suono intrinseco dello strumento che uso.
Per i contenuti ho uno sguardo sul contemporaneo. Le inquietudini di Francis Bacon, le pennellate che sono carne in putrefazione dell’inglese Jenny Saville, il brulicante e simbolico immaginario di Jan Fabre, o la fascinazione per la morte (come concetto astratto intrecciato al pragmatismo della medicina) nella pulizia formale di Damien Hirst.
Ma più di tutto, io guardo i miei “compagni”. Più di tutto io guardo ai miei coetanei, agli artisti conosciuti o meno, che oggi fanno arte. Guardo a gente come Nicola Alessandrini, straordinario disegnatore dalle visioni potentissime, Miles Eri, street-artist toscano teso e inquieto, e una serie di tatuatori contemporanei come Marco C. Matarese che unisce segno da bulinista e figurazioni classiche in composizioni assolutamente attuali. Da loro imparo la violenza.

faceNOFACE - Dalì, 2007
Face/NOFACE – Dalì, 2007 Penna biro e pennarello su carta 21 x 29 cm

Ti occupi di pittura e di quali altre discipline?

Pittura, incisione e disegno. Ma ho realizzato anche alcune installazioni partendo dai materiali di base che usa l’incisore, ricollocati e utilizzati con altra funzione. Unisco la luce, le superfici trasparenti come il plexiglass, il segno grafico e giochi con ombre proiettate.

Credi che il talento artistico delle donne in Italia oggi abbia lo stesso spazio di quello maschile? Ti sei mai sentita discriminata in qualche modo?

Credo che nell’arte siano le opere ad avere voce. L’artista, laddove possibile, potrebbe addirittura scomparire. Non mi sembra che le donne abbiano meno spazio o minore considerazione nel panorama artistico attuale di questo paese.
Personalmente non ho mai subito discriminazione alcuna.
Da parte mia però mi impegno a fare un tipo di arte che possa essere universale. Mi spiego: l’arte non dovrebbe avere genere; non deve essere né maschile né femminile. Se un artista riesce a fare un’arte neutra, dove delle opere non si capisca se a crearle sia stato un uomo o una donna, essa è più eloquente per tutti, funziona meglio (salvo i casi in cui l’elemento del femmineo sia intenzionalmente posto come contenuto stesso dell’opera).

Esegui lavori su commissione? Se sì, di che tipo?

Eseguo su commissione qualsiasi cosa io sia tecnicamente in grado di realizzare. Perlopiù mi vengono richiesti disegni per tatuaggi, ritratti o pitture murali per esterni o interni.

Dove possiamo vedere i tuoi lavori?

Ho un sito internet con una raccolta delle mie opere più rilevanti suddivise per tecnica:
https://www.valentinaformisano.com/
e un account Instagram dedicato in particolare al progetto face_NOFACE su cui mi sto concentrando in questi mesi, complice la quarantena e la disponibilità di molto tempo libero per realizzare i disegni (ogni ritratto richiede una media di 20/25 ore di lavoro):
https://www.instagram.com/face_noface/

Hai un blog dove pubblichi i tuoi racconti. Quando hai iniziato a scrivere e chi sono gli autori che ti hanno maggiormente influenzata?

Credo che scrivere mi sia piaciuto fin dalle scuole medie ma in realtà non ho mai scritto.
Non ho mai nemmeno tenuto un diario. L’idea di scrivere per me stessa mi è sempre parsa stupida. Io non scrivo per me. Io scrivo perché qualcuno mi legga.
Con l’avvento dei social, attraverso Facebook, alcuni anni fa ho iniziato a comprendere di avere una specie di audience. Ma mi sono sempre limitata a brevi post. Poi uno scrittore di Macerata (città in cui ho vissuto fino a quando un anno fa mi sono trasferita a Roma) mi ha detto che avevo delle capacità e mi ha prestato dei libri. Molti libri.
Fino ad allora avevo letto davvero poco in vita mia, forse per niente. Scrivere era come il disegno, una cosa innata. In pochissimi mesi ho letto romanzi che avevano uno stile a me affine e ho studiato qualche manuale. Ho visto come, senza rendermene conto, ero migliorata.
Leggere mi era sempre stato faticoso. Poi più scrivi, più leggi, più leggi, più scrivi e la lettura è diventata fondamentale, direi, salvifica. Ho vissuto una vita di solitudine confinata nelle campagne marchigiane: leggere le storie di altri era come vivere una vita in più, visto che la mia non sembrava affatto esaltante.
Amo gli scrittori atroci come Borges. Amo le parole taglienti, secche e potenti di Ágota Kristóf. Amo le storie “vuote” di Carver e Joyce Carol Oates, e l’ironia geniale di David Foster Wallace.
Ma più di chiunque altro, a influenzarmi nella scrittura, è stato uno scrittore del quale non ho mai letto nulla ma di cui ho ascoltato molto: Emidio Clementi, cantante e bassista dei Massimo Volume.
A diciassette anni ho sentito per la prima volta la sua voce, l’intenzione tesa, parole come pugni su un giro di chitarra in loop. Ho iniziato a parlare e a pensare i miei pensieri come se fossi Mimì: mi ha fatto comprendere il concetto di ritmo.
Scrivere è creare una musica. Io non so suonare niente, ma provo a far vibrare le parole.

CA.DA.VER., 2013
CA.DA.VER., 2013 Rame traforato, plexiglass, luce led 30 x 24 x 30 cm

Questo è il link al mio blog:
https://valentinaformisanoblog.wordpress.com/

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