Pubblicato in: le scappate di casa

LINDA MAY E LA FINE DELLA STRADA

di Ilaria Petrarca

Linda May è una nonna con i capelli bianchi che vive in Oregon. Ha fatto per anni lavori che non le hanno permesso di risparmiare né di garantirsi una pensione e non ha più diritto al sussidio di disoccupazione. Continua a fare lavori occasionali e abita con la famiglia della figlia, la quale è in ristrettezze si trasferisce in un appartamento dove Linda si sente di troppo.

Un giorno, a 64 anni, è avvicinata da Jessica Bruder, la quale scrive un reportage su di lei. Il reportage diventa un libro, Nomadland  (Edizioni Clichy, 2020) , che a sua volta diventa un film omonimo, diretto da Chloé Zhao. Il film vince l’Oscar e Linda May diventa famosa e ricca abbastanza da poter scegliere. “Volevo un posto per la fine della strada, uno dove poter ospitare la famiglia.”

Siamo negli Stati Uniti dopo la Grande Recessione del 2007. Intere cittadine, prime tra tutte le company town, si spopolano a seguito della chiusura delle aziende. Molte persone sono senza lavoro, in tantissimi subiscono un peggioramento del tenore di vita.

Linda May perde la speranza. “Berrò tutto l’alcol. Accenderò il propano, sverrò e sarà finita. E se mi sveglierò, accenderò una sigaretta e ci manderò tutti all’inferno.” Per fortuna trova un’alternativa: vivere in strada. Diventa una nomade – houseless, non homeless – ma a differenza delle Scappate di Casa di cui abbiamo parlato finora non è un’avventuriera, è una donna con un disperato bisogno di resistere (sempre che assumiamo che le due cose non coincidano…)

Lascia l’Oregon e si sposta inseguendo le offerte di lavoro stagionale. Fa la cassiera in California (10 dollari l’ora), la donna delle pulizie in un campeggio vicino al Parco Nazionale dello Yosemite (8.50 dollari l’ora), l’operaia per Amazon in Nevada (12.25 dollari l’ora).

Vive prima in una Jeep di seconda mano, poi in una casa mobile comprata con i soldi del lavoro all’ospedale per i Veterani (ehi, 50 dollari l’ora!) Sceglie un “RV – reacreational vehicle”, nel suo caso una roulotte: un veicolo da vacanza diventa abitazione di fortuna – e che lei chiama la Squeeze Inn. Creativa e ambientalista, Linda May sogna un’Earthship, una casa mobile sostenibile fatta di materiali riciclati e con i pannelli solari.

Senza fissa dimora ma connessa a internet, un giorno legge di un tale Bob Wells, l’organizzatore del più grande ritrovo di nomadi statunitensi. Fra loro ritrova un’identità, amicizie, sostegno. È la comunità di lavoratori anziani e migranti a cui oramai appartiene.

Anche se Linda May è una donna sola su un van, esposta a tantissimi pericoli (potrebbe restare in panne nel deserto, o sentirsi male nella notte), le persone che incontra non rappresentano mai delle minacce. A dispetto dei luoghi comuni, la sua strada è senza assassini o approfittatori, popolata da persone indipendenti non in conflitto per le risorse. (Questo, lo ammetto, mi ha molto stupito. È credibile?)

Ma dov’è la fine della strada?

Storie come quella di Linda May suggeriscono che è là dove ognuno decide di farla finire. Spinti fuori casa da motivi simili, i nomadi come lei sviluppano percorsi differenti.

Bob Wells, per esempio, progetta di comprarsi uno scuolabus. C’è invece chi desidera fare una vita “alla Thelma & Louise” fino alla fine, assumendosi il rischio di finire giù da un dirupo o essere trovati morti nel deserto. Swankie, l’altra attrice non protagonista di Nomadland, vuole vivere come “un vecchio topo del deserto, in solitudine, innamorata della vita ogni singolo giorno”.

Linda May è diventata popolare. Gestisce un account Instagram dove pubblica regolarmente pensieri e fotografie, tra le quali quelle della cerimonia degli Oscar (sì, lei c’era).

Il nomadismo l’ha tenuta a galla mentre stava “affondando senza speranza”, ma non intende continuare.

Chi è nomade per un periodo, lo rimane per sempre?

Linda May non ha costruito la sua Earthship e forse non lo farà perché ha spento i motori in New Mexico. Lì ha comprato un terreno e fa vita familiare mentre porta avanti dei progetti di edilizia sostenibile.

Suona ironico che una nomade si sia messa a costruire le case del futuro, no?

Il bello della fine della strada è anche questo: non è mai come uno se la immaginava.

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