Pubblicato in: Rivista

Best practices per colloqui di lavoro di successo

di Linda De Santi 

Aveva scelto abiti formali, colori sobri per esprimere equilibrio, dettagli casual per comunicare versatilità. Erano servite quattordici prove per trovare l’outfit adatto, quello che riusciva a trasmettere il giusto mix di serietà e potenziale. 

Il colloquio per la posizione di Corporate Office Manager era alle 15, nella sede centrale di Laman, Agenzia di Servizi Digitali Integrati. Un’azienda seria, strutturata, proiettata nel futuro. 

Stavolta Irene si era preparata bene. Davanti allo specchio, mentre controllava la sfumatura del fondotinta, ripassò le best practices che aveva letto su un’autorevole rivista online. 

Vestirsi con gusto prima di un colloquio è importante, ma è soprattutto il vostro personal branding che dovete curare. Cercate di trasmettere unicità e affidabilità per ogni aspetto che vi riguarda: abilità, stile, carattere…

Irene indossò il cappotto chesterfield beige che le cadeva bene sui fianchi, raddrizzò la schiena con grande proattività, alzò la testa con notevole resilienza e aprì la porta di casa. 

Sulla soglia, si girò a guardare il corridoio. Le era sembrato di sentire un rumore. 

– Gaia?

Sua sorella aveva l’abitudine di comparirle alle spalle e farla sobbalzare dallo spavento, per poi scoppiare e ridere. La gran massa di capelli ricci vibrava in sincronia con le sue risate. 

L’ingresso però era vuoto. 

Immaginò cosa le avrebbe detto Gaia riguardo al colloquio: – andrà male. Ho chiesto al pendolo, ha oscillato. Mi spiace.

Irene sbuffò. Che ne sapeva, il pendolo, dei suoi colloqui di lavoro.

– Le pietre non sbagliano. È una questione di vibrazioni. Lo dice anche la scienza.

Irene uscì di casa. 

Non siate tesi, mostratevi solari e positivi. 

Sedia ergonomica, pareti colorate, due giovani impiegati delle risorse umane che le davano del tu.

– Parlaci di te.

Irene parlò delle sue competenze, del forte spirito di squadra che la rendeva propensa al lavoro di gruppo, della laurea con lode in Lettere presa da poco, che non le aveva offerto sbocchi lavorativi ma, rise, l’aveva resa molto flessibile.  

I due uomini annuirono, quello che faceva le domande scribacchiò su un foglio, l’altro si distrasse a guardare i riflessi del sole sul tavolo ovale. 

– Perché desideri questa posizione?

Mostrate entusiasmo. Menzionate la parola “sfida”.  

Irene pensò che, in effetti, non morire di fame era sempre stata la sua passione. Poi, le sarebbe anche piaciuto affittare un appartamento in città, rendersi indipendente. In famiglia ne parlava già da parecchio, ma secondo i suoi genitori non era il momento giusto. Lo sarebbe stato presto, ma non adesso, a pochi mesi dall’incidente. 

Se però avesse avuto soldi suoi, mamma e papà non avrebbero potuto impedirle nulla. In passato, quando ne aveva parlato con Gaia, sua sorella l’aveva incoraggiata: – dai, che poi ti aiuto io a sistemarti, aveva detto. –Ti metto quarzi sotto ai letti, ematiti sui davanzali e corniole negli angoli. Le energie negative non ti sfioreranno nemmeno.

Ai selezionatori, Irene parlò di expertise e di nuove sfide per raggiungere la crescita professionale. 

– Qual è il tuo principale punto di forza?

Non siate impersonali. Parlate di un’abilità che sia riconducibile alla vostra personalità. Trovate il giusto equilibrio tra umiltà e sfrontatezza. 

Nelle aziende in cui aveva lavorato era stata diligente, sempre pronta a sobbarcarsi molto lavoro senza lamentarsi. Era affidabile, paziente; probabilmente un condizionamento derivato dall’essere la sorella minore di Gaia, che invece agiva d’impulso, senza mai riflettere o chiedere. Per reazione, Irene era cresciuta prudente e rigorosa. 

Ma adesso, se le chiedevano quale fosse il suo punto di forza, avrebbe potuto indicare solo la forza di volontà, con la quale riusciva a fare cose di cui proprio non aveva voglia. Una specie di energia strana che la pervadeva e la rendeva attiva, malgrado tutto, intorno a lei, fosse muto e immobile. I silenzi che regnavano in casa; suo padre seduto sul divano a fissare il muro con la tazzina di caffè che si raffreddava; sua madre che innaffiava lo stesso vaso di fiori. Fatto era che ogni mattina, dopo aver ripulito il tavolo della cucina da briciole e marmellata, Irene si sedeva alla scrivania, per cercare annunci di lavoro e profili di candidati ideali, anche se l’unica cosa che desiderava era infilarsi sotto alle coperte e smettere di sentire. Tutto considerato, le sembrava qualcosa. 

Quando rispose, Irene parlò della sua capacità di promuovere attivamente un ambiente positivo e collaborativo, della sua propensione a smorzare le tensioni e motivare le persone, abilità che a volte, in passato, le aveva fatto raggiungere posizioni di leadership. Tra i frammenti della sua storia lavorativa inserì, come in un mosaico, tasselli strategici, tra cui i termini problem solving, determinazione, contatto umano.  

Entrambi i selezionatori si sporsero verso di lei, quasi un movimento coordinato.

– E la tua debolezza più grande, invece? Cosa potrebbe impedirti di raggiungere i tuoi obiettivi?

Potreste avere la tendenza a concentrarvi troppo sul lavoro, o essere eccessivamente precisi e puntigliosi

Nonostante la forza di volontà che dimostrava di solito, c’erano giorni in cui certe assenze le pesavano troppo. Uno spazio vuoto nell’appendiabiti vicino al portone; la sveglia che al mattino non suonava più nella camera accanto alla sua. Allora si immergeva in uno stato di apatia collosa, si tirava le coperte fino al mento, rimaneva immobile e la sua mente si svuotava, come in un sonno profondo; i rumori si attenuavano, si sfocavano i contorni dei mobili, la realtà perdeva gli spigoli e lei restava sveglia ma senza memoria, sapere o coscienza di sé. Da questo stato riemergeva a tratti, in brevi istanti di lucidità in cui si augurava di tornare prima possibile a non percepire niente. Questo, in effetti, poteva costituire un impedimento al raggiungimento degli obiettivi aziendali. 

Le sembrò di sentire la risata di Gaia: – ma quale apatia, sei sempre stata svogliata, pure da bambina.

Parlò della sua scarsa capacità di esprimere le proprie ragioni, cosa che la portava a tacere di fronte alle critiche.  

– Se, alla fine, scegliessimo te, quale sarebbe il valore aggiunto che porteresti all’azienda?

Potrebbero essere prestazioni migliori, più efficaci, più veloci

Irene ci pensò su. In verità, nessuno. Per portare un valore aggiunto a qualcosa bisognava essere nella condizione di farsi carico di un bisogno, ma in questo caso era lei ad avere delle esigenze. Nello specifico, aveva la necessità di tenere la mente occupata per molte ore al giorno. Un impiego le avrebbe permesso di saturare la mente di compiti quotidiani, scadenze, goal, soddisfazioni effimere, ansia, continui scambi con persone di cui non le importava nulla; le avrebbe dato modo di distrarsi, di smettere di pensare. 

Si accorse di essere rimasta in silenzio per troppo tempo. Ai due uomini che aveva di fronte rispose: – Prestazioni migliori, più efficaci, veloci…

Intorno alle quattro, dopo molte altre domande, i due impiegati delle Risorse Umane posarono le penne e riordinarono i fogli sparsi davanti a sé. Quello che aveva parlato di più picchiettò sul tavolo i bordi di quel piccolo insieme di carta, un gesto meccanico da studente laborioso che a Irene sembrò tenero; l’altro, che ora appariva più rilassato, si passò con distrazione una mano sulla testa rasata. 

Il modo in cui vi salutano è importante. Fate attenzione al tono di voce e all’espressione; notate se sorridono, come vi stringono la mano. 

I selezionatori si alzarono in piedi. In caso di esito positivo, entro un mese avrebbe ricevuto una mail con la data del secondo colloquio. Irene ringraziò. Non aveva idea di come fosse andata, ma sentì una speranza accendersi quando i due uomini le sorrisero con calore. 

Sentì la voce di Gaia: – non ti emozionare. Sono sicura che sorridono a tutti.

Saluti, corridoio, panoramica sull’open space con gli impiegati seduti alle scrivanie. Portone, scale, parcheggio. 

Irene inspirò l’aria autunnale e si girò a osservare il logo di Laman impresso sulle porte a vetro. Si accorse di non essere troppo di malumore. Forse era merito di quella giornata di sole basso e caldo, con le foglie sugli alberi a un passo dal cadere. 

Salì in macchina, appoggiò la schiena al sedile e rimase immobile. 

Sentì la presenza di Gaia accanto a sé. 

– Allora, com’è andata?

Irene non si voltò a guardarla. Accennò un sorriso. 

– Forse il tuo pendolo ha sbagliato.

Oppure le best practices funzionavano davvero bene.  

Sentiva caldo. Si sfilò il cappotto e per qualche istante lo tenne in mano, incerta su dove appoggiarlo. Infine lo gettò sul sedile posteriore.  

Mise in moto l’auto. 

– Tornerai a dirmi come andrà il prossimo colloquio?

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